Nella
penisola coreana la tensione è all’apice. Minacce e provocazioni della Corea
del nord seguono uno schema corroborato fin dalla firma dell’armistizio del
1953 che segnò la fine della guerra “calda” di Corea. Ma le sanzioni, comprese le
ultime del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a seguito del terzo test nucleare
nordcoreano, non impediranno a Pyongyang di privarsi di quest’unico asso nella
manica, che ha consentito a tre generazioni di Kim, nell’ultimo ventennio, di
preservare il potere una volta finita la guerra fredda. Il nodo gordiano è
rappresentato dallo scontro pluridecennale fra Washington e Pyongyang. Il
piccolo paese vuole la firma della pace con gli Stati Uniti per rientrare nella
comunità internazionale (con tutti i benefici economici connessi) e vuole il
riconoscimento del suo nuovo status di paese nucleare. Nell’immediato, Kim
Jong-eun mira al dialogo diretto con Washington. Pare che gli Stati Uniti
stiano rivedendo la politica seguita dal 2008 ad oggi: una strategia di
indifferenza corretta da un rincaro di sanzioni in risposta alle provocazioni
del regime. Il “ritorno in Asia”, con lo spostamento di truppe e armamenti
nella regione, inquieta la Cina ed esige un gesto di buona volontà. Il governo
cinese, al contrario, ha continuato a puntellare Pyongyang con aiuti economici
e investimenti: per non ritrovarsi, in caso di crollo di un regime, una Corea
riunificata sotto l‘egida americana; ha perciò chiarito che le sanzioni non
sono “la soluzione fondamentale”, ma che occorre tornare a un tavolo negoziale.
Park Geun-hye (figlia del dittatore che guidò con pugno di ferro la
modernizzazione del suo paese), appena insediatasi alla presidenza della Corea
del sud costituisce un’altra incognita. In campagna elettorale la “regina di
ghiaccio” del partito conservatore aveva promesso di essere disposta ad una
politica più flessibile con il terzo Kim di quanto non sia stata quella
intransigente del suo predecessore, Lee Myun Bak. Adesso retorica bellicista e tensione sono alle
stelle da ambo i lati del 38° parallelo, anche perché sono iniziate le manovre
militari congiunte (dal 9 al 21 marzo) fra Corea del sud e Stati Uniti. Si
temono incidenti più o meno cruenti con Seoul, come nel passato, anche se di solito
non avvengono quando tutti se l’aspettano. E’ bene tuttavia non dimenticare,
come ha sottolineato il quotidiano progressista sudcoreano Hankyoreh, che “l’emergenza
nucleare è dovuta all’ansia di questo paese per la sua sicurezza”.