2013-11-10

Corea: consigli agli editori

Sulla Corea, antico stato unitario fino alla fine della seconda guerra mondiale, e sulle due Coree nate in pieno clima di guerra fredda, si sa ancora così poco in Italia, che la lista delle traduzioni da proporre sarebbe lunga. I due stati, al nord e a sud del 38°parallelo, sono diventati due realtà culturali e socio-economiche così distanti da costituire due mondi separati e antitetici.
Consiglierei la traduzione di alcuni libri che trattano della Corea del nord (RPDC, acronimo per Repubblica Popolare Democratica di Corea) e, in particolare, della continua emergenza umanitaria a quindici anni dalla terribile carestia che ha mietuto decine di migliaia di vite. Ancora oggi nella RPDC si continua morire per denutrizione. Nel silenzio della comunità internazionale.

Va premesso che il problema nordcoreano e il difficile rapporto fra le due Coree sono un tema molto politicizzato sia nella Corea democratica, a sud del 38° parallelo, sia fra gli studiosi, per lo più sudcoreani e anglosassoni, che di Corea si occupano. Il dibattito si articola intorno a due posizioni contrastanti: i sostenitori del cambio di regime (regime change) da un lato e i fautori del cambiamento endogeno del regime (changing regime) nordcoreano. Chiusura totale e aumento delle sanzioni per strangolare la Corea del nord o dialogo e aiuti internazionali alla RPDC per indurla ad affrontare le necessarie riforme e inserirla nella comunità internazionale? Le complesse relazioni fra le due Coree e l’alternarsi di governi conservatori o democratici espressione delle suddette posizioni in Corea del sud, quarta economia dell’Asia e terzo creditore degli Stati Uniti, è complicato dagli interessi divergenti delle potenze regionali, a cominciare dalla Cina che privilegia la stabilità politica del piccolo stato confinante e dagli Stati Uniti che nella Corea del sud mantengono basi e 28.000 militari. 

Un buon punto di partenza per avere una visione generale delle complesse tematiche che ruotano entro e fuori la penisola coreana può essere un piccolo libro divulgativo, scritto da uno specialista di Corea, Donald N. Clark (Korea in World History, Association for Asian Studies, 2011). Clark riesce a condensare con competenza e semplicità, la storia medievale e moderna della Corea. Il libro inizia dal contributo fondamentale della civiltà coreana ai paesi dell’Asia orientale; civiltà di cui delinea i tratti distintivi per spiegare il presente. Nei capitoli dedicati alla storia moderna rileva cause e conseguenze dei due drammatici eventi subìti dal più antico stato unitario dell’Asia Orientale dopo la Cina: la colonizzazione giapponese (1910 – 1945) e la divisione del paese in due stati di segno opposto alla fine della seconda guerra mondiale. Clark spiega perché la colonizzazione fu la causa principale della divisione, subito dopo la sconfitta del Giappone nel 1945, e perché la guerra fredda favorì la formazione di due stati “nemici”. Lo scontro fra due modi di produzione e fra due ideologie contrapposte portò alla nascita di regimi autoritari sia al sud sia al nord. La guerra di Corea (1950-1953) acuì e cementò la divisione, non portò alla riunificazione di un popolo omogeneo per lingua razza e cultura, ma a una divaricazione sempre più marcata. Il merito principale del libro di questo specialista che ha passato la maggior parte della sua vita in Corea del sud, sta in questa affermazione: capire la Corea è fondamentale per capire la storia dell’Asia Orientale.

Certamente più schierato ideologicamente è il libro scritto da Glyn Ford e Soyoung Kwon, (North Korea on the Brink, Struggle for Survival, Pluto Press, 2007). Ford rappresenta il punto di vista di un parlamentare europeo laburista negli anni in cui l’amministrazione Bush sembrava pronta a scatenare un altro conflitto “preventivo” contro la RPDC, inserita nell’asse del male” con l’Iraq e l’Iran. Temi di fondo: la deriva ideologica neoconservatrice e l’incompetenza degli anni del presidente americano George W. Bush che hanno rischiato di far deflagrare un secondo conflitto in Asia Orientale dopo l’attacco all’Iraq. E l’indicazione che la “vecchia Europa”, come la definiva spregiativamente il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, era invece favorevole a percorrere la strada del dialogo e della diplomazia. Dalla lettura risulta soprattutto chiaro perché continua la guerra fredda nella penisola coreana a distanza di oltre un ventennio dalla caduta del muro di Berlino e dalla disgregazione dell’URSS, perché non è mai stato firmato un trattato di pace fra le due Coree e le potenze coinvolte nella sanguinosa guerra del 1950-1953 che, oltre aver lasciato sul campo tre milioni di vittime, ha diviso dieci milioni di famiglie lungo la linea di confine più militarizzata del mondo. Ford analizza e denuncia i reiterati errori dei governi americani, che dopo la fine dei generosi aiuti, soprattutto energetici, dell’URSS al piccolo alleato, erano convinti dell’imminente crollo dell’unica dinastia socialista che sia mai esista con il passaggio dei poteri, alla morte del suo fondatore, Kim Il sung (1994) al figlio, Kim Jong-il.

Per Ford la “paranoia” dell’amministrazione Bush con le sue “guerre preventive” non solo ha destabilizzato il Medio Oriente, ma ha convinto i nordcoreani che “la lezione da trarre dall’invasione dell’Iraq a guida americana non fosse avere armi di distruzione di massa ma non averle” (p. 154). Ford spiega bene anche le difficoltà di successo del dialogo multilaterale (i colloqui a sei fra le due Coree, gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone, la Russia), immaginato per convincere la RPDC a smantellare i suoi impianti nucleari di cui relativizza correttamente la capacità offensiva. Basti pensare al massiccio spiegamento di forze e di mezzi bellici, armi di distruzione di massa incluse, degli americani a sud del 38° parallelo e nel vicino Giappone; in caso di un attacco nordcoreano, le forze congiunte di americani, sudcoreani e giapponesi farebbero sparire la Corea del nord dalla carta geografica. La disparità di vedute fra l’amministrazione di George W. Bush (favorevole al cambio di regime) e i presidenti democratici della Corea del sud, Kim Dae Jung e Rho Moo Yun (nel decennio 1998-2008) fautori di una politica di impegno, appoggiata dall’Unione Europea, ha creato tensioni continue e approfondito la sfiducia dei nordcoreani negli americani. La stessa diffidenza sottende i difficili rapporti fra la RPDC e la Corea del sud considerata un “lacché” degli Stati Uniti.
In linea con la necessità di favorire il cambiamento all’interno RPDC, ma molto più equilibrato, Marcus Noland ha pubblicato una serie di libri e saggi che sono ormai dei classici. Tra questi Famine in North Korea, Markets Aid and Reform scritto a due mani con Stephan Haggard (Columbia University Press, 2007) è ancora di stretta attualità. E’ uno studio esauriente, e al tempo stesso, di facile lettura che ha la capacità di integrare in un quadro unitario la solida preparazione economica degli autori con le scienze politiche e le relazioni internazionali.

Non è un libro per soli accademici o specialisti, ma come sottolinea Amartya Sen nella prefazione, è importante anche “per chiunque si occupi dei temi della povertà e della fame, o dell’autoritarismo o del ruolo - e delle difficoltà - degli aiuti internazionali”. Con intelligenza e chiarezza espositiva i due autori evidenziano la tragedia di un paese che, in nome di una dissennata strategia autarchica, (nominale e mai effettiva) ha condannato alla morte per fame negli anni novanta oltre un milione di persone e ha segnato “una generazione di bambini con una miriade di malattie fisiche e mentali legate alla denutrizione”. Emerge ben chiara la colpa dello stato nell’avere provocato una delle “carestie più distruttive del ventesimo secolo”. Gli autori riprendono la denuncia di un altro prolifico studioso di politica coreana, David C. Kang, secondo il quale Kim Jong Il (all’epoca ancora vivo) avrebbe dovuto essere giudicato dal Tribunale Penale Internazionale per “crimini contro l’umanità” (p. 209). Per inciso, Kim si è spento serenamente nel suo letto nel dicembre 2011, a differenza dei dittatori detronizzati dalla primavera araba e gli è succeduto, secondo la tradizione dinastica dei Kim, uno dei suoi figli maschi.

Gli autori sostengono che le strade per normalizzare un paese economicamente allo sfascio non sono facili perché mancano “esperienza e capacità tecniche” dell’élite dirigente nordcoreana che, fra l’altro, non vuole “ascoltare i consigli” di chi in buona fede tenta di aiutare il paese ad uscire dal baratro economico in cui è precipitato il paese. La difesa ad oltranza di un modello economico fallimentare si spiega anche con il timore di contaminazioni capitaliste, che potrebbero destabilizzare il sistema di potere e di controllo sociale, e la paura di interferenze esterne. 

Questa posizione di chiusura indigna persino (in via ufficiosa) i funzionari del grande vicino cinese, che per motivi espliciti di interesse nazionale restano l’unico puntello economico del regime dei Kim (p. 216). E’ anche vero che le “riforme alla cinese” minerebbero il sistema di potere. Il tentativo del gruppo dirigente di sigillare il paese dalle influenze esterne si sta intaccando. Le notizie di una realtà molto diversa da quella propagandata con martellante assiduità da sessant’anni, filtrano attraverso la radio e i dvd sudcoreani contrabbandati attraverso il confine con la Cina. E’ aumentato in maniera esponenziale il numero dei cellulari a esclusivo uso interno (oggi pare siano un milione) e alcune organizzazioni non governative che operano in Corea del sud sono riuscite a dotare i loro contatti di cellulari che sfuggono ai controlli per ricevere e dare notizie. Tra l’altro i due autori sfatano il mito che il modello cinese e vietnamita siano la via maestra delle riforme per la RPDC (ritornello di molti politici e giornalisti specie in Italia). La RPDC ha la più bassa proporzione al mondo di terreno coltivabile per abitante e non può quindi pilotare il suo sviluppo partendo dal settore primario, ma deve concentrarsi sullo sviluppo dell’industria che ha sempre rappresentato la base portante del suo sistema economico (211). Proprio dal calo della produzione industriale e dalla mancanza cronica di fonti energetiche per sostenerlo (dopo il taglio degli aiuti a perdere dell’URSS) è cominciato il crollo della RPDC. La Cina del dopo Mao potrebbe essere, secondo gli autori, un esempio da seguire se la RPDC riuscisse a “smilitarizzare” l’economia e la politica. Ma almeno fino ad oggi, i militari sono stati i principali garanti del potere dei Kim e gestiscono un’economia parallela e indipendente da quella dello Stato.

Haggard e Noland non nascondono le difficoltà di far evolvere un paese retto da una monarchia socialista ereditaria e da un elite che gode di molti privilegi e rilevano giustamente che la massiccia politica di aiuti internazionali nel periodo della carestia, ma soprattutto gli aiuti sudcoreani nel decennio di politica del disgelo, non hanno inciso sulla struttura economica della RPDC e non hanno portato benefici alla popolazione in mancanza delle indispensabili riforme di struttura. I due autori dimostrano, dati alla mano, che la fame è diventata “sistemica” ed è collegata alla struttura autoritaria dello stato, che non si sente responsabile nei confronti dei propri cittadini, ma nega loro qualsiasi diritto: dal diritto alle libertà civili al diritto di proprietà, al semplice diritto di muoversi liberamente nel proprio paese. Il controllo dello Stato è così pervasivo e oppressivo che ha impedito la nascita di una società civile o di un’opposizione politica. I germi di un mercato nato dal basso si sono affermati negli anni della carestia quando si è sgretolato il sistema di distribuzione pubblica a dispetto dei ripetuti tentativi dall’alto di frenarne lo sviluppo. Il libro è stato scritto prima del cambio di guardia nella repubblica del sud. Il presidente ultraconservatore Lee Myun Bak eletto a fine 2007, ha chiuso dialogo e cordoni della borsa e ha sconfessato la politica dei suoi predecessori. E’ sintomatico che i due autori pur considerando eccessivi gli aiuti “troppo generosi” del decennio di disgelo (il libro è stato scritto in quegli anni) abbiano concluso che un impegno continuo e concreto della comunità internazionale per incoraggiare gli indispensabili cambiamenti istituzionali da un lato e gli aiuti controllati dagli stessi donatori (perché non finiscano nella mani del gruppo dirigente) e ritagliati sui bisogni primari dei nordcoreani, restano l’unica strada percorribile anche in presenza di diritti umani negati alla maggior parte della popolazione.

Per saperne di più sui temi della fame cronica e della negazione dei più elementari diritti umani nella RPDC segnalo le testimonianze, sempre più numerose, di chi è riuscito a fuggire dal paese e dai famigerati gulag di cui si è parlato nel n° 2 di Terra. Ancora Haggard e Noland descrivono il tragico paradosso di una società socialista profondamente diseguale e corrotta (Witness to Transformation: Refugee Insights into North Korea, Peterson Institute forInternational Economics, 2011).

Sulla vita nei gulag nordcoreani l’ultima testimonianza in ordine di tempo è l’impressionante Escape from Camp 14, scritto dal giornalista Blain Harden (Penguin Books, 2012), che nel corso di molti mesi è riuscito a ricomporre i ricordi di Shin Dong-hyuk. Shin, che ha 27 anni, l’età dell’ultimo erede della dinastia dei Kim, è nato dall’accoppiamento voluto da una guardia carceraria per “premiare” due prigionieri a vita di cui Shin ha sempre ignorato la storia precedente il loro imprigionamento, e le relative colpe. Quello che più colpisce è l’educazione, se così può chiamarsi, disumana in cui, come gli altri bambini, è cresciuto fino ai 23 anni quando è riuscito a fuggire. Ogni pagina è un pugno nello stomaco. Oggi Shin è emigrato negli Stati Uniti, e lavora in un’organizzazione non governativa che si batte, come altre in Corea del sud, per la chiusura dei sei campi di concentramento fotografati dai satelliti e denunciati da Amnesty International.

Ma il popolo nordcoreano non è né crudele né disumano. Per avvicinarsi senza pregiudizi a un mondo sconosciuto o conosciuto solo parzialmente, divertirsi e commuoversi allo stesso tempo, segnalo gli impagabili noir di James Church, un nome di fantasia sotto il quale si nasconde un ex agente segreto americano che in Corea del nord ha operato. Church ha dato vita a un personaggio impareggiabile: l’ispettore O. Single, piacente, sensibile al fascino femminile, colto (come colto è di sicuro il suo creatore), con uno spiccato senso del dovere e un sincero attaccamento al suo paese, l’ispettore si muove nei meandri dell’opprimente e ambigua atmosfera dei corridoi del “palazzo”, che penetra anche nel suo ufficio. L’ispettore è dotato di un’autonomia di giudizio, un’insofferenza alle regole, uno spiccato senso dell’umorismo e una sensibilità che contrastano con l’immagine stereotipata dei nordcoreani “cattivi e ottusi” dei film di propaganda americani.

Come ha sostenuto un noto specialista di Corea del nord, Peter Hayes, dopo la pubblicazione del primo romanzo (A Corpse in the Koryo, St. Martin Press, 2006), si capisce di più sulla situazione in Corea del nord leggendo Church che a leggere tutta la letteratura disponibile sulla RPDC.
Il penultimo e, forse, il più intrigante (Bamboo and Blood, St. Martin Press, 2008), è ambientato nel 1997, anno in cui la carestia miete migliaia di vite e tutti, anche nel suo commissariato, sono costretti, a “tirare la cinghia”. Come i noir precedenti e quello successivo (The Man with the Baltic Stear: an Inspector O Novel, Minotaur Books, 2010) anche questo racconto è ben congegnato, i dialoghi sono brillanti, la scrittura veloce e a tratti lirica. La Corea del nord per Church non è il regno del male, è un piccolo paese martoriato, orgoglioso della sua storia, pieno di contraddizioni e di misteri, in cui ognuno, da chi vive tra le nebbie del potere con le sue oscure trame, al più semplice cittadino tenta di sopravvivere come e quanto può. La profonda simpatia di Church per i nordcoreani (a parte la famiglia regnante dei Kim di cui mai si parla, anche se la sua presenza è incombente) è evidente e condivisibile.

Una sintesi di questo articolo è uscito su Lettera22